I rubatà



 














Il grissino,

non vi è alcun dubbio, trova le sue origini nella tradizione culinaria sabauda anche se, permane ancora molta nebbia su come si sono realmente svolti i fatti che ne hanno determinato la nascita e la diffusione. Fondamentalmente, il problema più oneroso da risolvere è quello di scegliere se dare più importanza alla leggenda, oppure se riguardare al passato affidandosi ad una prospettiva storica documentata da polverosi testi scritti piuttosto che dalla semplice tradizione orale.





Panettiere - Incisione all'acquatinta
in costumi dei dintorni di Torino.
Pietro Marietti, 1834


La leggenda racconta...

Ma cosa si tramanda dunque sul grissino?

Si racconta che: "C'era una volta a Torino, intorno all'anno 1680 un giovane Duca, chiamato Vittorio Amedeo II di Savoia al quale, la sola giovane età impediva di avere sotto il suo diretto controllo l'importante "Stato Sabaudo".
Fin da piccolo si era dimostrato assai intelligente con una grande passione per le armi del padre. A parte un difficile rapporto con i familiari ("la madre distante e poco affettuosa, un padre che nei confronti del figlio alternava indulgenza e severità al fine di domarne lo spirito") il giovane principe trovava nella sua fragile salute il nemico più difficile della propria infanzia.
Era nato a Torino nell'anno 1666 e fin dai primi anni di vita si era rivelato gracile e malaticcio. La storia tramanda che "all'inizio del 1668, quando si disperava ormai della sua vita' si espose a Torino la Sacra Sindone al fine di invocare l'intervento Divino e si fecero pellegrinaggi per ottenere la sua guarigione".
Il giovane sovrano soffriva soprattutto di disturbi intestinali (in particolare di gastroenterite batterica) che ne determinavano un difficile sviluppo ed una struttura assai gracile.
Fu proprio in occasione di una di queste malattie che il grissino fece la sua comparsa a corte.
Era, l'anno 1675, il duca Vittorio Amedeo aveva nove anni, era di nuovo gravemente ammalato e si apprestava ad entrare nella leggenda della città. Il padre era morto da poco così fu la madre, Maria Giovanna Battista di Nemours, ad incaricare il medico di corte, Don Baldo Pecchio (di Lanzo Torinese), a trovare un rimedio nuovo per guarire e alimentare il malato inappetente e dalla digestione assai faticosa.
Questi ebbe un lampo di genio che lo portò a diagnosticare, al giovin Duca, una intossicazione alimentare conseguente ad assunzione di pane inquinato di germi patogeni intestinali. Ciò perché il pane di quel tempo era prodotto in modo non del tutto "corretto" igienicamente e, per di più, veniva poco cotto, anzi, mal cotto.
Si tramanda che il medico avesse sofferto in gioventù di analoghi disturbi intestinali che erano stati guariti grazie all'intuito e alla creatività di sua madre che lo aveva cibato con pane "ben lievitato, ben cotto, con poca mollica e molto croccante".
La sua diagnosi e il successo di quell'esperienza giovanile spinsero il medico di corte a rivolgersi al panettiere di casa Savoia per riproporre tale terapia. Antonio Brunero di Lanzo, così si chiamava il fornaioterapeuta, stava preparando il pane tradizionale nei consumi locali dell'epoca (la cosiddetta "Ghersa") caratterizzato da forma allungata. Non fu necessario quindi un grosso intuito per separare da questo tipo di impasto in lievitazione, delle lunghe liste di pasta lievitata, larghe circa mezzo pollice e lunghe due spanne per poi stirarle con "il solo movimento delle mani e la trazione delle braccia".
Da tali listarelle, così stirate, poste successivamente a cottura, i due sperimentatori erano così riusciti ad ottenere dei "bastoni di pane ben cotti, anzi "bis-cotti", con assenza quasi totale di acqua, friabili, aromatici, con poca o nulla mollica e tanta crosta dorata". In altre parole il prodotto che si riteneva indispensabile per tentare di guarire il giovane sovrano.
Come le belle favole impongono, il Duca guari cibandosi di questo pane. Il suo fisico migliorò e Vittorio Amedeo Il diventato primo Re Sabaudo nel 1713, poté dedicarsi con tranquillità e salute a tutti i suoi divertimenti preferiti (la caccia in primo luogo) e, soprattutto, ad un "grosso sforzo di riorganizzazione dello Stato Sabaudo che fu trasformato in una struttura altamente accentrata".
Il sovrano era solito recarsi alla sua residenza di Venaria portando sul suo cavallo una "cesta" di grissini.
Ancora oggi si dice che il suo fantasma vaghi per le stanze dello stesso castello, conducendo con una mano il cavallo e brandendo con l'altra un grissino incandescente.
Dopo la guarigione del Duca il grissino diventò "il pane preferito di Casa Savoia per cui fu conosciuto ed apprezzato dai più regali palati dell'epoca".
La storia comunque conferma l'apprezzamento dei nobili nei confronti del grissino:
"Carlo Felice di Savoia apprezzava di più la musica del Regio Teatro quando sgranocchiava dal suo palco i suoi gustosi grissini talvolta realizzati con l'aggiunta di polpa di trota".
"La principessa Felicita si fece ritrarre dal pittore di corte con un grissino in mano e da,quel momento divenne, forse suo malgrado, la principessa del grissino".
Napoleone dopo aver assaggiato quelli che chiamava "les petites batons de Turin" ne rimase entusiasta. Ne diventò così ghiotto da maturare il desiderio di farli produrre direttamente a Parigi.
Di conseguenza Napoleone, per gustare i veri grissini torinesi, dovette istituire un servizio postale celere per avere ogni giorno direttamente da Torino i prelibati bastoncini di pane.
Il popolo seguì ben presto le abitudini ormai consolidate a corte e questo fece sì che il grissino non ebbe difficoltà nel diffondersi a Torino e nei dintorni divenendo un alimento insostituibile del mangiare giornaliero.

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