La
leggenda racconta...
Ma cosa si tramanda dunque sul grissino?
Si racconta che: "C'era una volta a Torino, intorno all'anno 1680
un giovane Duca, chiamato Vittorio Amedeo II di Savoia al quale, la
sola giovane età impediva di avere sotto il suo diretto controllo
l'importante "Stato Sabaudo".
Fin da piccolo si era dimostrato assai intelligente con una grande passione
per le armi del padre. A parte un difficile rapporto con i familiari
("la madre distante e poco affettuosa, un padre che nei confronti
del figlio alternava indulgenza e severità al fine di domarne
lo spirito") il giovane principe trovava nella sua fragile salute
il nemico più difficile della propria infanzia.
Era nato a Torino nell'anno 1666 e fin dai primi anni di vita si era
rivelato gracile e malaticcio. La storia tramanda che "all'inizio
del 1668, quando si disperava ormai della sua vita' si espose a Torino
la Sacra Sindone al fine di invocare l'intervento Divino e si fecero
pellegrinaggi per ottenere la sua guarigione".
Il giovane sovrano soffriva soprattutto di disturbi intestinali (in
particolare di gastroenterite batterica) che ne determinavano un difficile
sviluppo ed una struttura assai gracile.
Fu proprio in occasione di una di queste malattie che il grissino fece
la sua comparsa a corte.
Era, l'anno 1675, il duca Vittorio Amedeo aveva nove anni, era di nuovo
gravemente ammalato e si apprestava ad entrare nella leggenda della
città. Il padre era morto da poco così fu la madre, Maria
Giovanna Battista di Nemours, ad incaricare il medico di corte, Don
Baldo Pecchio (di Lanzo Torinese), a trovare un rimedio nuovo per guarire
e alimentare il malato inappetente e dalla digestione assai faticosa.
Questi ebbe un lampo di genio che lo portò a diagnosticare, al
giovin Duca, una intossicazione alimentare conseguente ad assunzione
di pane inquinato di germi patogeni intestinali. Ciò perché
il pane di quel tempo era prodotto in modo non del tutto "corretto"
igienicamente e, per di più, veniva poco cotto, anzi, mal cotto.
Si tramanda che il medico avesse sofferto in gioventù di analoghi
disturbi intestinali che erano stati guariti grazie all'intuito e alla
creatività di sua madre che lo aveva cibato con pane "ben
lievitato, ben cotto, con poca mollica e molto croccante".
La sua diagnosi e il successo di quell'esperienza giovanile spinsero
il medico di corte a rivolgersi al panettiere di casa Savoia per riproporre
tale terapia. Antonio Brunero di Lanzo, così si chiamava il fornaioterapeuta,
stava preparando il pane tradizionale nei consumi locali dell'epoca
(la cosiddetta "Ghersa") caratterizzato da forma allungata.
Non fu necessario quindi un grosso intuito per separare da questo tipo
di impasto in lievitazione, delle lunghe liste di pasta lievitata, larghe
circa mezzo pollice e lunghe due spanne per poi stirarle con "il
solo movimento delle mani e la trazione delle braccia".
Da tali listarelle, così stirate, poste successivamente a cottura,
i due sperimentatori erano così riusciti ad ottenere dei "bastoni
di pane ben cotti, anzi "bis-cotti", con assenza quasi totale
di acqua, friabili, aromatici, con poca o nulla mollica e tanta crosta
dorata". In altre parole il prodotto che si riteneva indispensabile
per tentare di guarire il giovane sovrano.
Come le belle favole impongono, il Duca guari cibandosi di questo pane.
Il suo fisico migliorò e Vittorio Amedeo Il diventato primo Re
Sabaudo nel 1713, poté dedicarsi con tranquillità e salute
a tutti i suoi divertimenti preferiti (la caccia in primo luogo) e,
soprattutto, ad un "grosso sforzo di riorganizzazione dello Stato
Sabaudo che fu trasformato in una struttura altamente accentrata".
Il sovrano era solito recarsi alla sua residenza di Venaria portando
sul suo cavallo una "cesta" di grissini.
Ancora oggi si dice che il suo fantasma vaghi per le stanze dello stesso
castello, conducendo con una mano il cavallo e brandendo con l'altra
un grissino incandescente.
Dopo la guarigione del Duca il grissino diventò "il pane
preferito di Casa Savoia per cui fu conosciuto ed apprezzato dai più
regali palati dell'epoca".
La storia comunque conferma l'apprezzamento dei nobili nei confronti
del grissino:
"Carlo Felice di Savoia apprezzava di più la musica del
Regio Teatro quando sgranocchiava dal suo palco i suoi gustosi grissini
talvolta realizzati con l'aggiunta di polpa di trota".
"La principessa Felicita si fece ritrarre dal pittore di corte
con un grissino in mano e da,quel momento divenne, forse suo malgrado,
la principessa del grissino".
Napoleone dopo aver assaggiato quelli che chiamava "les petites
batons de Turin" ne rimase entusiasta. Ne diventò così
ghiotto da maturare il desiderio di farli produrre direttamente a Parigi.
Di conseguenza Napoleone, per gustare i veri grissini torinesi, dovette
istituire un servizio postale celere per avere ogni giorno direttamente
da Torino i prelibati bastoncini di pane.
Il popolo seguì ben presto le abitudini ormai consolidate a corte
e questo fece sì che il grissino non ebbe difficoltà nel
diffondersi a Torino e nei dintorni divenendo un alimento insostituibile
del mangiare giornaliero.
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